Premi speciali 2023 Stampa E-mail

LB231246

Premio speciale "Giuseppe Bartolomei"
attribuito dalla Commissione di lettura 

Piero Modigliani
nato a Roma nel 1905, morto nel 1990

“Papà, la bandiera!”
memoria 1911-1952

Nelle case di allora non esistevano stanze da bagno e, quando qualcuno voleva provvedere ad una più completa pulizia, si doveva accontentare del semicupo, cioè una specie di bagnarola a forme di poltrona, nella quale ci si sedeva con i piedi fuori e con il busto sporgente dall'acqua, come se le parti da lavare fossero solo quelle che andavano da torace alle ginocchia. Fra gli oggetti da toletta, era immancabile l'allacciabottoni, cioè uno strumento a forma di uncino, con un lungo manico, che serviva ad allacciare i numerosi bottoni strettissimi delle scarpe, delle ghette, dei colli duri, delle camicie inamidate e molto spesso anche degli abiti da donna, che avevano sempre delle abbottonature fittissime sulla schiena. Un altro oggetto comune per gli uomini era il piegabaffi; tutti, senza eccezione, portavano i baffi che dovevano essere arricciati alle punte. Ogni mattino occorreva passare sui capelli il cosiddetto "pettine stretto"; seguiva il pettine largo e la spazzola, con la quale ultima le signore accomodavano le loro pettinature altissime, ricoperte di "postiches" di capelli finti per far sembrare la massa dei capelli più voluminosa, come nelle fotografie dell'epoca si vede chiaramente. Il semicupo, l’allacciabottoni, il piegabaffi, i “postiches”. La memoria di Piero Modigliani è un libro aperto su un mondo che non esiste più, un’epoca nemmeno troppo lontana fatta di oggetti, luoghi e abitudini che ci appartengono, ma sono sparite. Sparite come la Roma in cui è nato e cresciuto, all’inizio del ‘900: di origini ebraiche, Modigliani racconta la vita nei quartieri del centro storico prima della rivoluzione urbanistica voluta dal fascismo, con uno sguardo particolare sulla realtà del ghetto romano di inizio secolo: Non bisogna dimenticare che le condizioni in cui erano costretti a vivere gli ebrei nel ghetto pontificio erano quanto di più disumano ed assurdo si possa immaginare; compressi in un ambito di spazio insufficiente per condizioni di vita accettabili, stipati in un territorio che era rigidamente delimitato dalle mura e dai "portoni" che si aprivano al mattino e si richiudevano la sera, entro il quale il numero degli abitanti cresceva a ritmo normale e quindi sempre più erano tutti compressi; dormivano in molti in una sola stanza e moltissimi in una sola casa. Nei suoi ricordi, trovano spazio pagine di storia memorabili come quella sul giorno dell’armistizio della Prima guerra mondiale: Per la strada udii, provenienti da via Nazionale, degli strilloni che urlavano a squarciagola una notizia di cui non capii il senso, se non avvicinandomi da via Genova e afferrai le parole, nel trambusto e nel movimento della gente che sembrava impazzita: "È finita la guerra! È stato firmato l'armistizio con l'Austria!" Fui talmente elettrizzato che non sentii più nessuna debolezza alle gambe, corsi a casa salendo rapidamente le scale (fortunatamente abitavamo al primo piano) ed entrai a casa urlando: "Papà, la bandiera!". Questa bandiera era stata preparata da anni; ma mio padre aveva dichiarato che sarebbe stata esposta solo il giorno in cui la guerra sarebbe stata finita vittoriosamente. Finalmente quel giorno era arrivato e potei vederla sventolare all'ultima luce del pomeriggio. E poi c’è il Tevere, il fiume che attraversa la capitale nel quale Piero, da ragazzo, nuota spensieratamente: cominciai a fare i bagni che poi ho continuato per molti anni. Ormai ero abbastanza esperto e riuscivo ad attraversare il fiume e nuoto fino all'altra riva e ritorno. Le lunghe giornate passate in canoa a risalire e ridiscendere la corrente, tra Ponte Milvio e l’Acqua Acetosa, cesseranno solo dopo un drammatico incidente, quando il suo più caro amico, Sergio, perderà la vita per un contagio da leptospirosi contratto proprio nelle acque del fiume.

 

LB231863

Premio per il miglior manoscritto originale
attribuito dall'Archivio diaristico

Luigi Sandulli
nato a Contrada (Avellino) nel 1868, morto nel 1957

Antonetta Tranfaglia
nata a Contrada (Avellino) nel 1876, morta nel 1949

“Mosaico d’amore di fine ‘800”
epistolario 1895-1900

Immaginate di trovarvi in Archivio e di trovarvi ad aprire, un giorno, una valigetta marrone piena di lettere che due giovani si sono scambiati ininterrottamente per 5 anni, alla fine dell’800, per non recidere il legame d’amore che li univa nonostante il contrasto con le famiglie di appartenenza. Avrete in mano la storia di vita di Luigi e Antonetta, due ragazzi di Avellino che si sono piaciuti nonostante le idee politiche divergenti dei rispettivi genitori, il divieto di incontrarsi, e che si sono nutriti di sentimenti affidati all’inchiostro e alla carta, oltre a qualche sguardo da lontano scambiato dalla strada al balcone, dal 1895 al 1900. Fino a quando la loro perseveranza non è stata premiata con un matrimonio, celebrato all’alba del Novecento e durato “finché morte non vi separi”. Immaginate di scoprire l’evoluzione del loro affetto anche attraverso la metamorfosi del linguaggio, che esordisce nelle prime lettere con un reciproco “voi” e si trasforma nel tempo in formule sempre più dirette e familiari. E immaginate ancora che da quella valigetta marrone spuntino fuori biglietti augurali della Pasqua 1896, una tessera delle ferrovie dello Stato, una carta d’identità e sei foto di Luigi, buste contenenti fiori secchi, una cravatta di Luigi usata per il matrimonio, un riccio di capelli di Antonetta, un cliché della fotografia di Antonetta, e ancora tanti oggetti e pezzi di vita appartenuti a questi giovani innamorati. Avrete in mano tutte le tessere per ricostruire un mosaico d’amore di fine ‘800.

 

Il programma della 39^ edizione:  

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