Maria Ursula Galli Stampa E-mail
ursula (Livorno, 1967)
Canguri sdraiati morti
memoria 1990-1991

In una casa della campagna australiana, vicino a Sidney, e poi in città, una giovane universitaria livornese, che in seguito diventerà giornalista, vive la sua relazione con un ragazzo del posto. Forse sono fidanzati, ma non fanno l'amore; lei soffre ancora per gli strascichi della bulimia. Dopo cinque mesi, riparte per l'Italia. Non si rivedranno più.


Lo vidi quasi subito, mentre uscivo dal deposito bagagli. Sembrava dimagrito. Fece finta di non notarmi, finché non gli toccai una spalla. Indossava il solito maglione blu di lana secca, con una bruciatura di sigaretta sul davanti. Una volta mi ero offerta di rammendare il buco, ma non aveva voluto.
“David”.
“Come va?”, sorrise appena, dandomi un rapido bacio sulla guancia, vicino all'angolo della bocca.
“Prendiamo un taxi?”.
“No, una delle mie sorelle mi ha prestato la macchina”.

Mi ero svegliata di soprassalto con l'impressione di essere arrivata. Non ancora. L'aereo stava sorvolando a bassa quota una distesa di sabbia e dune rosso fuoco. Il cielo aveva un colore incredibile, che dal giallo andava al viola. “E' il riflesso di un vulcano che sta eruttando nelle Filippine”, mi aveva informato, premurosa, una hostess. Sarei voluta restare a fissare quello spettacolo, ma mi ero addormentata di nuovo. Dopo tutto, eravamo in viaggio da più di venti ore, comprese un paio d'ore per lo scalo tecnico a Bangkok, che avevo trascorso a ciondolare, gonfia di sonno, tra i negozi mezzi chiusi dell'aeroporto.
Quando riaprii gli occhi, sotto di me c'era una distesa piatta di luci. Sydney.
Prima dell'atterraggio, lo steward mi fece compilare un modulo. Portavo con me animali, frutta, droga?
Non scrissi che nel bagaglio a mano avevo delle merendine Fiesta, che mia madre aveva voluto darmi a tutti i costi, con il timore che morissi di fame. A quest'ora probabilmente erano spiaccicate e immangiabili.
All'aeroporto controllarono i miei documenti per quasi mezz'ora. E sì che con la mia camicetta fantasia cachemire, il golfino sulle spalle, non dovevo avere un'aria proprio sospetta. Mi ricordarono freddamente le cose che non mi erano consentite, qui in Australia. No work, no formal studies, no residence.
Il visto sarebbe scaduto dopo sei mesi.
Era la prima volta che mi trovavo così lontana dall'Italia, da casa. Mi girava un po' la testa.
Comprai al duty free una bottiglia di gin per David.
Chissà se mi aspettava all'uscita.

David caricò le mie valigie, senza fare commenti sul peso - avevo portato tutto il mio guardaroba estivo e tutto quello invernale, non avevo idea di quanto sarei stata lì - e salimmo su un'auto verde, anni Settanta, che sapeva di cicche e di deodorante sintetico.
"E' la vecchia Peugeot di mia sorella Francesca", spiegò pronunciando Puegeot e Francesca con un accento molto inglese.
Mi sentivo intimidita, non riuscivo a parlare e mi limitai ad annuire, sorridendo. David sembrò non notarlo. Percorremmo una lunga periferia fitta di concessionarie d'auto, Mac Donalds, supermercati.
"Devo riportare la macchina a mia sorella. Ci fermiamo un po' da lei, c'è un party per il suo compleanno, ti dispiace?", disse David, rompendo il silenzio. Veramente avevo voglia di stare un po' sola con lui, di parlare. Ma risposi: "No, no, andiamo pure".

 
 
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