Silvana Conci Stampa E-mail
conci (Caldonazzo TN, 1944)
Un viaggio tra sogni e realtà
memoria 1931-1968

Un'insegnante della scuola per l'infanzia torna in Africa dopo ventisei anni per prendere con sé e portare in Italia il marito, sudanese di etnia Nuer, rifugiato in un campo profughi in Etiopia, semiparalizzato per un ictus. Nel diario di un mese di soggiorno ad Addis Abeba, si raccontano le difficoltà per mettersi in contatto con l'uomo e superare la burocrazia necessaria ad avere i visti per il suo trasferimento, nonché il caos dovuto alla diversità di lingue e culture. Ora sono in Italia e lei è riuscita a farlo curare.


09 luglio 2001
Il giorno sta per finire, è quasi mezzanotte. Non riesco a tenere gli occhi aperti perciò scrivo piuttosto che leggere. Ho compiuto il viaggio Verona-Roma sul Meridiana e improvvisamente è scomparsa la paura. Non è stato facile trovare l'area dei voli internazionali, l'aeroporto di Roma ha fatto molti cambiamenti dal 1975. In quell'anno ero tornata in Italia dopo un soggiorno di due anni e mezzo in Sud-Sudan. Ero magrissima, il mio bagaglio era vuoto, ma avevo tra le braccia mia figlia Gloria Nyariay. Negli anni che seguirono avevo vissuto principalmente pensando a lei al suo futuro, con un rimpianto: non esser riuscita a farle conoscere suo padre Bona Bol. Dopo esser passata al "check in" ed aver telefonato e parlato a lungo con Gloria, mi sono diretta nella zona: "partenze per Addis Ababa". Per chi non ha dimestichezza con l'aeroporto è come trovarsi in un labirinto ed occorre chiedere informazioni più volte, ma alla fine si arriva ed è ciò che conta. Nella grande sala molti stanno sonnecchiando. Leggo: 'C 24' uscita per l'Ethiopian Airline, che emozione! Mi guardo attorno, ci sono bianchi e gente di colore. Io sono sola e non ho avuto ancora l'occasione di parlare con qualcuno. Comincia a fare fresco dopo la calura del giorno, l'aria condizionata mi fa venire male al collo. Mi piace osservare la gente: c'è chi chiacchiera, chi dorme, chi si apparta. Una giovane coppia bianca sta facendo una partita a carte. Cerco di indovinare le varie etnie: c'è una donna più scura delle altre, è sola e non sembra interessata ai discorsi delle vicine poi... ecco, parla inglese e non la sconosciuta lingua con cui interloquiva il gruppetto accanto. C'è una coppia della mia età, lui ha una bella barba bianca. E come me c'è un'altra donna bianca sola. Alcuni gruppi familiari... Sull'Ethiophian Airline, partito con un'ora e mezzo di ritardo, ho dormito male perciò al mattino sono un po' intontita. Avrei voluto vedere il panorama dell'altopiano ethiope invece sorvolavamo nuvole bianche multiformi e soffici e solo tra qualche squarcio ho potuto intravedere sotto l'aereo un mare verdissimo. L'aereo, vecchiotto, ha una pancia più grossa del Meridiana. Ci sono più file di sedili, due laterali adiacenti agli oblò, tre, attaccati, nel mezzo. E' pieno zeppo, poco lo spazio per transitare. Accanto a me nessuno con cui poter fare conversazione. Poco prima di salire a bordo ho conosciuto Lina, un'infermiera volontaria che andrà a lavorare, per conto del CUAMM di Padova, in un villaggio poco lontano da Amassa. La donna, che avrà più o meno la mia età, ha compreso subito quanto fossi sola, senza appoggi, e si è offerta di aiutarmi in caso di bisogno. Organizzare il viaggio non è stato semplice. Dopo anni di contatto con i padri Comboniani le circostanze mi avevano lasciata sola. Non riuscivo neppure a comprendere perché. OK, fratel G. stava tornando in Italia per le sue meritate vacanze, e di questo ne ero a conoscenza fin dall'inizio dell'anno, ma perché fratel G. non poteva presentarmi a qualche altro padre comboniano? Non faceva che dirmi di non partire a luglio, ma io ho le ferie solo d'estate. Contavo sulla presenza di Bona in Addis Ababa, ma per ogni evenienza avevo provato a telefonare a varie associazioni di volontariato per avere un minimo di appoggio da parte di connazionali, inutilmente. Alla fine di giugno una lettera di fratel G. mi informava che Bona, verso la fine di maggio, era partito per il Campo Profughi di Gambela forse per non affrontare la stagione delle piogge, che fare? Non mi sembrava vero perciò aver avuto, da un'assistente sanitaria, un numero di telefono dei padri cappuccini in Addis Ababa che sembravano disposti ad ospitarmi. Perché all'ultimo momento si sono tirati indietro?

 
 
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