Antonio Specchio Stampa E-mail

Brani scelti


specchio01 Andavo a scuola nel 1905 frequentavo la 1° elementare, vedevo a Piazza Emanuele De Deo (sopra la Castagnaia) ad una finestra una bandiera verde. Al centro ricamate in oro, due mani si impugnavano in segno di affratellamento, intorno era scritto: “Lega di resistenza dei contadini”.
Quelle due mani strette l'una nell'altra mi davano la sensazione di unità di lotta. Non sapevo spiegarmi il significato, lo scopo di quella bandiera, intuivo che rappresentava l'unità di tante persone intorno a sé e la pensavano allo stesso modo. […]


Perché non organizzare anche a Minervino uno sciopero? Si riunirono i capi-lega. I socialisti come responsabili politici. Gli anarchici i più giovani e intelligenti, cercavano di mettersi alla testa. Furono date disposizioni di non offendere nessuno, di comportarsi seriamente. Si organizzarono le squadre di sorveglianza per le campagne contro i ladri di pecore e cavalli. Il primo sciopero agricolo a Minervino fu nel 1907-1908. La responsabilità era di Nicola Iezza capo Lega. Lo sciopero si dichiarò alla mietitura di luglio. Era il momento opportuno. Migliaia di ettari di grano da mietere, migliaia di vigneti, di oliveti da coltivare; era il momento propizio per piegare i padroni. Gli agrari fecero ricorso alla prefettura. Il Prefetto mandò cavalleria e carabinieri. Alla posizione presa per lo sciopero a dirigerlo – o meglio – a spiegarlo cosa vuole dire “sciopero” a Minervino venne l'avvocato Giambattista Musacchio. Un candore di bontà. La casa della lega contadina era piena, zeppa, tutti volevano udire cosa era la parola sciopero. “Compagni, signori è il primo passo che si muove nelle Puglie, la prima protesta collettiva delle masse per la sua redenzione. Voi Minervinesi ne avete esperienza per il passato, avete avuto pochi anni fa Il 98 che vi ha dato molto dispiacere di ciò che accade. Perché? perché la protesta non fu organizzata, ora vi prego di ascoltare cosa vuol dire la parola sciopero e come esso si deve svolgere. Voi credo, come figli della terra di Emanuele De Deo non dovete tradire quel nome immortalato dalla scrittore Dumas nella San Felice. State attenti, con il suo comportamento Emanuele De Deo fece impallidire i Borboni, voi avete un monumento che vi addita serietà, lealtà e non cose scomposte.
Lui fu impiccato, uno dei primi del movimento italiano iniziato dalla carboneria. Ascoltate bene. La parola sciopero non vuol dire rompere, spaccare, bruciare come si è fatto altre volte. Nò compagni; lo sciopero è un'arma civile, è un arma a due tagli se non la sai adoperare c'è il rischio di ferirti tu stesso. […]”


Come si costrinsero a farli partecipare? Nelle Puglie c'è una usanza un po' curiosa. A tutti coloro addetti alle masserie il pane viene mandato dalle famiglie. Pagnotte di circa tre chili. Chi faceva la quindicina, le mogli di questi salariati il sabato portavano il pane alla casa o alla stalla del padrone dov'era a prenderlo in consegna il massaro e scriveva il nome sopra la pagnotta, parecchie portavano un po' di peperoncini fritti messi nel buco della stessa pagnotta. Qual'ora questi salariati non avessero ricevuto il pane erano costretti a prenderselo, non essendovi in nessuna località la possibilità di comperarlo. E' qui, che le squadre sorvegliavano i punti più impensati ad attendere i crumiri portatori di pane. Nello stesso tempo si formarono squadre più energiche. Il loro compito era quello di persuadere i più titubanti. S'avvicinavano con buone maniere alle masserie e gli spiegavano perché dovevano aderire allo sciopero. Con pazienza gli facevano capire che era un bene per loro, era un miglioramento sociale, sia economico, sia morale; di non essere trattati più come una bestia da soma, si voleva un po' più di rispetto verso il lavoratore. Parecchi si convincevano e tornavano al paese. […]



Lo sciopero si propagò in altri paesi mano mano le nove ore si ottennero dapertutto. Si firmavano tariffe qua e là, incominciarono nelle città più grandi la lotta degli edili, anch'essi le nove ore. Si impegnò una gara per la conquista dell'orario. A Minervino tutto finì bene, la mietitura incominciò.[…]


specchio02 Mentre nel settentrione la lotta la si faceva nella fabbrica diretta da Filippo Corridone, Alceste De Ambris, Masotti, Buozzi e tanti operai qualificati, nelle Puglie la si faceva in tutta la regione contro migliaia di padroni, facendo attenzione a non inimicarsi con colui che aveva uno, due, tre ettari di terreno, e veniva diretta da uomini inesperti di sindacalismo e poco colti, il più energico, il più preparato era Giuseppe Di Vittorio (terza elementare), veniva dalla cosidetta gavetta. Le segreterie erano composte da contadini e operai di buona volontà. Pochissimi elementi di cultura e quei pochi non adempivano alle richieste di leghe, di circoli…
Di Vittorio aveva preso contatti con parecchi dell'unione sindacale italiana dal congresso di Firenze in poi, ma non si era vicini, era distante. Per coprire tale distanza occorrevano più di tutto denaro, quello che mancava. Per far fronte alle spese si facevano sacrifici. In tutte le cose e per tenere corrispondenza Di Vittorio lavorava giorno e buona parte della notte. Quando si vedeva un articolo sull'Internazionale diretto da De Ambris lo si leggeva con attenzione. A colmare la difettosa finanza, mancanza di uomini di cultura, si suppliva con la buona volontà di compagni. La prima cosa fu la propaganda contro l'alcolismo, ciò che in altre parti non si faceva. Su molte cose ci educammo diversamente dal Nord Italia. Per noi ci era bisogno di una educazione locale, tale da distruggere quelle usanze di arretratezza. Con lo sviluppo dei sindacati si formò la Camera del lavoro aderente all'unione sindacale italiana, e alla camera del lavoro si discuteva il da fare.[…]


A febbraio del 1925 si partì per la segregazione divisi in due gruppi. […] Si andava a Orvieto. Il primo gruppo fu di 12, dopo quattro giorni si partì in 15. Da Trani a Foggia primo transito andò tutto bene. Ci fermammo a Francavilla due giorni, a descrivere il freddo patito in quelle due notti è impossibile. La finestra senza vetri, un'aria umida marina faceva corrente con la grata della porta che di tanto in tanto la ispezionavano. Non sapevano dove accantonarci. Eravamo in 15 noi, altri 3 del luogo, in tutto 18. Il tavolaccio era 6 per 6 tutti non potevamo starci, si faceva a turno, un terzo si stendeva e gli altri s'acculattavano per terra o s'addossavano al muro. Facevamo un po' gli spiritosi, qualche facezia, imprecazione, una fumata e mangiare. Passarono le 48 ore. Terzo transito: Sulmona. Scendiamo dal cellulare carabinieri, poliziotti in borghese, milizia fascista erano una quarantina in tutto. Per andare alle carceri ci voleva circa un chilometro. In attesa di unirci tutti (ammanettati quattro per quattro) uno dei presenti domanda a Quercia e Superbo di dove erano, “Di Minervino Murge, siamo tutti di un processo per politica”. – Già, ho capito, voi siete del paese dove seminano fagioli e nascono briganti.
Superbo di rimando gli risponde: “E tu non sei del paese dove seminano ceci e nascono sbirri.” Mai che avesse risposto così. Parlò con la scorta e fece appartare Superbo e Quercia. Curiosi guardavano a distanza, ascoltarono il dialogo e se la ridevano della risposta data. Arrivati alle carceri si fece subito nota al capoguardia, noi siamo 15 e non 13 gli altri due dove sono andati a finire? Ci disse: “I carabinieri hanno telefonato di aver portato in caserma Quercia e Superbo, domani per le otto li porteranno. Si protestò con modo garbato facendo capire il motivo per il quale erano stati portati in caserma. Tutti e due sino alla consegna fatta a Sulmona erano salvi, se cosa accade ne risponde la direzione carceraria, il detenuto definitivo non può andare in caserma, perché era diretto alle carceri di Sulmona. Ci tranquillizzarono su tutto. La mattina arrivarono tutti intirizziti, tremanti dal freddo. Non avevano potuto fargli il “Sant'Antonio” (pestarli di botte) perché erano definitivi. Li misero in camera di sicurezza senza coperte, la finestra priva di imposte, tolti i lacci delle scarpe a tavolaccio. Pensare al freddo che fa a Sulmona nei primi di febbraio. Così presero la vendetta d'averli detto che si seminano ceci e nascono sbirri.

Antonio Specchio
"Andavo a scuola"
memoria, 1905-1948

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