Jean Paul Habimana Stampa E-mail

Jean Paul Habimana

L'ultimo genocidio del Novecento
memoria 1984-2014

Jean Paul Habimana
nato a Nyamasheke (Ruanda) nel 1984

Ruanda, 6 aprile 1994. Un razzo abbatte l’aereo in cui viaggiano i presidenti di Ruanda e Burundi, entrambi di etnia hutu. È la scintilla che fa scoppiare l’ultimo genocidio del Novecento: saranno circa 1 milione le vittime, in prevalenza uomini, donne e bambini di etnia tutsi. Per ogni ruandese è il giorno che cambia per sempre il corso di ogni cosa. Lo è anche per il piccolo Jean Paul, nato in una famiglia tutsi, che dal mattino seguente comincia a lottare per sopravvivere. Fuggimmo lasciando il cibo ancora caldo nei piatti. Fu l’ultima volta che vidi mio padre. Avevo dieci anni e fino ad allora mi ero recato in parrocchia per assistere alla santa Messa o a servire messa come chierichetto; non avrei mai immaginato che un giorno ci sarei andato per trovarvi rifugio. La parrocchia di Shangi e il vicino convento delle suore Pénitentes, nella diocesi di Cyangugu, vengono assediate dagli Interahamwe, la milizia paramilitare Hutu. Erano armati fino ai denti con fucili, granate, machete e legni chiodati. Resistemmo rispondendo a sassate. Ma anche i luoghi sacri sono un argine troppo fragile di fronte alla furia omicida. Il 29 aprile un gruppo arrivò sparando all’impazzata su tutto e su tutti. Dalla paura ci mettemmo a correre cercando di salvarci. Dopo pochi passi, travolto dalla folla in fuga, inciampai e mi ritrovai con la faccia a terra mentre sentivo cadere su di me i corpi dei fuggiaschi falciati da fucili e machete. Sopra di me alcuni feriti invocavano aiuto ma, al canto di “iye tubatsembatsembe!” oh, ah, uccidiamoli tutti! Gli Interahamwe li freddarono all’istante. Rimasi immobile, sotterrato dai cadaveri per un tempo che mi parve infinito. Il giovane Habimana si salva lasciandosi alle spalle corpi maciullati, sventrati, amputati ancora sanguinanti; grazie all’aiuto di una Hutu dissidente, Maria, abbandona la parrocchia e dopo aver assistito a innumerevoli altre violenze, ritrova la madre e riesce a rifugiarsi nel campo profughi di Nyarushishi. La vita al campo, dove la Croce Rossa fa il possibile per garantire la sussistenza, non risparmia la quotidiana sfida contro la morte. Mancano il cibo e l’acqua, le malattie si diffondono fulminee. Ma almeno i machete degli Interahamwe restano fuori dal recinto. Finché all’alba del 23 giugno i vicini ci svegliarono verso le 5,30 dicendo che stavamo per morire. Uscimmo dalla tenda di corsa e trovammo il campo circondato da persone armate fino ai denti. Sono ore di terrore: i tutsi vedono convergere sul luogo prima la gendarmeria, poi le truppe francesi e internazionali. Dopo mesi di abbandono, stentano a credere che siano lì per proteggerli dai loro assassini. Ma per fortuna è così: per Jean Paul, per i suoi familiari e concittadini, è la liberazione e l’inizio di una nuova epoca, segnata da una ricostruzione che parte dalle macerie e da ferite molto profonde da rimarginare. Nel 1997 Habimana entra in seminario, si applica con dedizione e spirito di sacrificio nello studio e comincia un percorso di riflessione sul genocidio: ogni ruandese sia carnefice o sopravvissuto ha cercato e trovato un modo per uscire dal ricordo di quel periodo infernale. Nel 2005, anche per tenere fede a una promessa fatta a Dio durante il genocidio, decide di diventare prete e nello stesso anno parte per l’Italia, per proseguire gli studi di filosofia e teologia presso il Seminario Arcivescovile Pio XI di Reggio Calabria. Nel 2009 abbandona il cammino verso il sacerdozio, supera molte difficoltà per restare a studiare in Italia e nel 2010 si laurea con il massimo dei voti in Scienze religiose: negli anni successivi comincia a insegnare presso diverse scuole e istituti del Nord Italia. Nel frattempo matura un amore giovanile, coronato con un matrimonio e la nascita di due figli. Un’unione emblema della fine della guerra: il 2 agosto sposai Marie Louise, nel 2014 nacque Samuel, due ruandesi, con un padre nato e cresciuto Tutsi e una madre nata e cresciuta Hutu. Siamo ruandesi e basta.

 

 

 

Il programma della 36^ edizione:  

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