Dalla maternità al femminicidio? L'Archivio resta il punto di partenza


Intervista ad Alina Marazzi, regista del film "Tutto parla di te" in Programma a Pieve Santo Stefano
venerdì 13 settembre, ore 21.30, a chiusura della prima giornata del 29esimo Premio Pieve Saverio Tutino

alinaSono trascorsi circa quattro mesi dall’uscita nelle sale di Tutto parla di te, il film attraverso il quale la regista Alina Marazzi ha affrontato il tema del rapporto tra la donna e la maternità, tra la catena di stati d’animo positivi ma anche negativi che si possono innescare prima e dopo questo avvenimento cruciale per il ciclo di vita femminile. Una pellicola che si impegna in una considerazione di ampiezza smisurata, affrontata con un talento cinematografico e documentaristico che, dai successi di Un’ora sola ti vorrei e Vogliamo anche le rose, non ha mai smesso di evolversi appagando il pubblico degli affezionati e conquistando sempre nuove platee. Tutto parla di te è un’opera che denota coraggio, quello di portare sul grande schermo e al cospetto degli spettatori alcuni interrogativi potenzialmente molto scomodi per la morale comune. Diremmo, per semplificare: diventare madre deve essere bello per forza? Deve esserlo “naturalmente” o “implicitamente”? E se lo scopo primario del fare cinema è quello di sollevare interrogativi e suscitare riflessioni, a quattro mesi di distanza dalla “prima” Alina Marazzi può andare fiera dei risultati ottenuti: «Tutto parla di te è un film che suscita riflessioni – osserva la regista - sia nelle persone che respingono la tematica che affronta, o meglio nelle persone che vengono tenute da distanza da questa tematica, sia dalle persone che rimangono coinvolte. Se proprio dovessi azzardare un bilancio direi che certamente non è un lavoro che lascia indifferenti».

Il dogma della maternità, inteso come accettazione necessariamente positiva del divenire madri, viene messo in discussione: come è stata accolta questa lettura dal pubblico femminile?

Con favore: ho raccolto molti riscontri confrontandomi con molte donne al termine delle proiezioni, negli incontri che ho avuto anche con le persone che si occupano professionalmente degli aspetti che il film tratta.

Ha ricevuto anche critiche?

Quello della depressione post natale è un tema scomodo, che mette a disagio, per cui alcuni spettatori si sono sentiti respinti dal tema in sé, con cui non vogliono avere a che fare. Alcuni altri si sono sentiti spiazzati dal mix di linguaggi visivi che il film utilizza (finzione, documentario, animazione, fotografia) e dal fatto che il film non è un film "a tesi" che pone la questione del disagio materno all'interno di una dinamica di causa-effetto, per cui la cause di un disagio devono per forza avere origine nel contesto socio-economico. Ma il dato generale che è emerso dagli scambi di opinione che ho avuto con il pubblico in sala ha rappresentato per me una conferma rispetto alla direzione della mia indagine, e cioè che il disagio è molto più comune e diffuso di quanto non si voglia ammettere e che, nonostante la gente senta una forte necessità di parlarne, il tema è ancora molto sottaciuto per un senso di vergogna.

Il 13 settembre alle 21.30 Tutto parla di te sarà proiettato a Pieve Santo Stefano nell’ambito del 29esimo Premio Pieve Saverio Tutino organizzato dall’Archivio dei Diari. Che significato ha questo appuntamento?

Per molti aspetti il film ha molto ha che fare con l’Archivio. In fase di preparazione di questo progetto ho letto alcuni diari conservati Pieve che mi hanno fornito spunti preziosi sui quali riflettere. Inoltre, non a caso, una parte del film si sviluppa in maniera intimistica, proprio in forma di diario, mentre altre sequenze che pure si sviluppano come interviste hanno le sembianze della scrittura intima e personale. Infine sul sito “Tutto parla di voi” abbiamo raccolto testimonianze, promuovendo varie forme di interazione con gli utenti e realizzando, in sostanza, una nuova modalità di scrittura soggettiva aggiornata.

Nei diari dell’Archivio che ha letto, nelle storie di vita nelle quali si è imbattuta, ha notato una “trasformazione storica” del rapporto tra la donna e la maternità?

Questo è un aspetto che mi ha molto colpito e che solo grazie all’utilizzo dei diari ho potuto mettere a fuoco: pur leggendo testimonianze ambientate in periodi e contesti sociali molto diversi, basti pensare che i più vecchi risalgono agli anni Sessanta, ho notato che emergono punti di vista personali estremamente simili. Sia che si tratti di un manoscritto di 10, che di 20 o di 30 anni fa e credo che questo elemento sia molto eloquente.

Nel cercare una chiave interpretativa per un “rifiuto” della maternità da parte della donna, dunque, non c’è da attribuire responsabilità al mutamento dei costumi, o dei ruoli sociali delle madri?

Sembrerebbe di no, sembrerebbe che la “vita moderna” non rappresenti un elemento che possa incidere in maniera autonoma.

Lei è una regista che il pubblico ha ormai imparato a identificare come impegnata nel trattare questioni di genere. Quali riflessioni le suscita il dibattito legato alla piaga del femminicidio?

È un tema che mi tocca molto e con il quale mi sto misurando, anche se ritengo per numerose ragioni che rappresenti un qualcosa di molto difficile da rendere attraverso il linguaggio visivo.

Quale potrebbe essere la chiave interpretativa per affrontarlo?

Mi interessa molto capire il punto di vista maschile, anche per andare all’origine del fenomeno e cercare di comprenderlo: mi piacerebbe che questo contribuisse a reagire e fermare la violenza.

Sappiamo che alla base di ogni suo film c’è un’indagine e che alla base di ogni indagine ci sono i diari dell’Archivio. Presto la vedremo a Pieve a fare ricerca su diari che trattano il femminicidio?

Non è escluso, non lo so. È talmente difficile, trattandosi di immagini, rappresentare la violenza senza far vedere la violenza. Ma se ci sarà un inizio sarà certamente a Pieve, l’Archivio è sempre un punto di partenza obbligato.

(l’intervista è a cura di Nicola Maranesi)

 

 
 
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