Paolo Severi Stampa

severi Mi chiamo Paolo Severi. Per molti anni la mia identità, il mio essere sono stati in balia degli eventi, dell'eroina, della cocaina. Sentivo il mio nome ripetuto sempre più spesso nei rapporti di polizia giudiziaria, negli interrogatori, nelle chiamate degli uffici matricola di parecchie carceri; avevo consapevolezza di me solo in relazione a quello.
Non sapevo chi ero, che cosa volessi. Sapevo che non sarebbe durato a lungo.
Il mercato illegale dell'eroina mi avrebbe stroncato se non avessi trovato, al più presto, una soluzione, un muro contro cui andare a sbattere. Il muro si chiama S. Patrignano . Poteva essere un che muro migliore, ma è contro quella parete che mi sono fermato. In tre anni e mezzo a S. Patrignano ho recuperato, da solo, certezza del mio esistere e, soprattutto, certezza che il passato non mi apparteneva più. Questo è avvenuto non grazie a S. Patrignano, ma spesso (troppo spesso) nonostante S. Patrignano. Lì ho conseguito la maturità classica; lì mi sono iscritto all'università (Scienze Politiche) che continuo a frequentare. Lì ho camminato con difficoltà, tenendo spesso duro perché sapevo che avevo un obiettivo: salvarmi la pelle. Finchè una storia d'amore con una ragazza venuta a galla nella Comunità mi ha messo in condizione di essere riportato in carcere.
Questo che segue è il diario dei miei mesi di detenzione (nel 1996) dopo la permanenza a S. Patrignano. Una paradossale liberazione.
Oggi mi volto indietro spesso, ripenso al mio passato e mi scopro a sorriderci sopra.
Mi dico: sono io l'autore di quelle malefatte. Qualcuno sostiene che è schizofrenia. Io credo che sia solo una questione di non appartenenza.
Quello che faccio, quello che sono ora (il lavoro, lo studio, il volontariato, la musica, scrivere) è talmente distante dalla mia realtà di allora da non riconoscermi più. Comunque ci tornerò sopra: sia su S. Patrignano, sia sul mio passato. Ma questa è un'altra storia….

Riccione, 20 novembre, 1999


16 gennaio martedì
Oggi mi hanno arrestato. San Patrignano si è allontanata dalla mia vita questa mattina e io mi rendo conto di avere disimparato a piangere. Una cosa del genere qualche anno fa mi avrebbe gettato nello sconforto, nella disperazione. Invece oggi mi è venuto quasi da ridere quando il lampo abbacinante del reale-mondo-reale mi ha accolto.
Il sorriso di una prostituta in questura e poi via, in carcere. Il carcere di R.
All'ingresso questa sera ho cercato di scorgere qualche barlume di umanità negli occhi di questi uomini in divisa, ma mi pare che sia la divisa a prevalere, non l'uomo che c'è sotto.
Le celle di attesa sono piene di vomito e sangue. Sangue schizzato sui muri e la puzza è insopportabile.
Dialogo in ingresso. “Accoglienza”
“Lei ha problemi con altri detenuti? Lei ha tendenze suicide?”
Gli ho risposto: “Adesso no!”
Mi ha guardato stupito. Ha sbarrato gli occhi quando ho cercato di spiegargli questo mio pensiero. Come al solito sono stato troppo cervellotico. Anche lui non aveva voglia.
“Guardi, stia tranquillo, per adesso la mandiamo in sezione seconda dove stanno gli isolati, poi parlerà con l'educatore e le troveremo una situazione migliore”…

19 gennaio venerdì
[…] LA DOMANDINA
Sventolata davanti al naso dell'agente di turno al nuovo arrivato è l'unico modo per comunicare con i piani alti. Con chiunque si voglia parlare, qualunque cosa si voglia fare, qualunque comunicazione si voglia dare, persino “mi sto suicidando”, occorre compilare questo modulino rettangolare dall'aspetto innocuo, ma attraverso il quale passano i destini della popolazione detenuta. La domandina deve essere esposta in bella vista sulla finestrella del blindato; se l'agente che passa di notte non la vede o non ha voglia di ritirarla, non la ritira.
La domandina deve essere compilata accuratamente in ogni sua parte, se manca solo una virgola viene cestinata; non importa chi debba raggiungere, parenti disperati o colloqui urgentissimi. Entro la mattinata tutte le domandine vengono firmate dal direttore e poi smistate agli uffici competenti. La domandina non può essere scritta con la penna verde né con la penna rossa, sono accettate solo penna nera e blu.
[…] Quando la domandina arriva in direzione (se arriva) la direzione risponde, molto gentilmente, con un modulo appeso ad una bacheca all'entrata della sezione. Per leggerlo c'è solo tempo la mattina successiva per l'apertura delle pulizie o, se l'agente accondiscende, ci si può dare una rapida occhiata prima di entrare in doccia.
In un mondo basato sulla velocità e sulla fretta, sulla veloce comunicazione dei sentimenti e delle volontà, riportare così indietro l'orologio della storia, infliggere questa doppia pena burocratica a dei reclusi è la tortura più raffinata che ci possa essere. […]

23 gennaio martedì
Il carcere insegna a ridare importanza al tempo.
Tempo quintuplicato. Un urlo è la vita. Una lettera è la vita. Una chiamata è la vita.[…]

30 gennaio martedì
[…] Sono stato poco in carcere ma ho avuto il piacere e la fortuna di vederne delle belle. Ho avuto il piacere e la fortuna di vedere gli uomini ridursi come animali.
Ore ventitré.
Agente accende la luce. “Che cosa stai facendo?”
“Scrivo”. “Ma chettescrivi, lascia perdere che qui sei in galera, pensa a salvarti la pelle”.
Mi salvo la pelle scrivendo. […]

12 febbraio lunedì
Le mani addosso. Mani che frugano, mani che toccano, mani contro il muro, gambe divaricate. Braccia che si alzano a comando. Strizzacervelli, educatori, assistenti sociali, ma anche assisteni volontari… Lavorano nel carcere e non conoscono il carcere. Non sanno quello che succede dentro il carcere. Conoscono solo davanti a scrivanie. Parlano come se le cose che propongono fossero realizzabili e fattibili e si stupiscono di fronte alle obiezioni. Credono che sia possibile studiare in una sezione che pare un girone infernale. Non si rendono conto come si “vive” realmente qui dentro. Parlano del carcere come se qui vigessero le leggi della società e non quelle della giungla.
Li stessi agenti li guardano con ironia quando fanno discorsi “educativi” ai detenuti.

1 marzo venerdì
Se il carcere fosse “umano” paradossalmente non risponderebbe ad una società che non vuole recuperare nessuno. L'unico messaggio possibile che può uscire da qui è quello di un sostanziale terrore. Il carcere deve essere terrorizzante sia per chi ci vive sia per chi lo frequenta come volontario o come parente dei reclusi. Per chi lavora non so. Dai cameroni dei colloqui devono salire una puzza e un fetore di morte da spaventare anche un boia. Un senso di oppressione per tutti, affetti rubati, baci scambiati di fortuna e per fortuna. Le mani addosso alla famiglia, le mani addosso alle mogli. Le perquisizioni anche ai bambini. Oppressione che deve stringere il collo fino a far sentire soffocare. […] Alla fine il carcere deve essere uno spauracchio da agitare come si fa con il lupo nero per i bambini. Per questo non ci sono speranze di cambiamento.

14 aprile domenica 9
Le parole dal carcere. Rileggendo quanto ho scritto per sopravvivere fino ad ora, le parole che ricorrono di più sono:
assurdo
paradossale
violenza
Si vede che non sono un bravo scrittore, d'altro canto scrivo per me, scrivo per resistere. Un bravo scrittore farebbe comprendere l'assurdità, il paradosso e la violenza senza citarli, come Raymond Carter. Inoltre confermo la mia impressione generale, cioè che non ci sia alternativa a questa assurdità, a questa violenza. Il carcere è e deve essere così…[…]

2 settembre lunedì
[…] Ho aspettato fuori dal carcere che mi venissero a prendere. Gli agenti, levata la divisa, mettono su l'orecchino e prendono un aspetto umano. Sono ragazzi come noi.
L'ultima paura. Incapacità di affrontare la vita. Me la tengo gelosamente nascosta, non la racconto a nessuno. È solo per me.

Paolo Severi
"231 giorni"
diario, 1996

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